lunedì 5 marzo 2012


Plenilunio

Mi scopro più superficiale nella lettura. Mi capita sempre più raramente di entrare così tanto in una storia da dimenticare tutto per essere lì spettatrice e interprete nello stesso istante. A volte mi tornano alla mente quelle sensazioni che avevo provato nel leggere un libro e, allora, vado a ricercare quella pagina per scoprire se è proprio come la ricordavo e solo un’illusione del mio ricordo. Fa parte di queste un racconto di Maupassant che stasera sono andata a ricercare perché non ne ricordavo neanche il titolo ma solo quella meravigliosa, o tale mi pareva nel ricordo, descrizione della passeggiata di due innamorati al chiaro di luna lungo la riva di un fiume. Sono andata a ricercare quelle pagine. Nel mio libro di racconti il titolo è “Plenilunio” ma credo che in altri sia stato tradotto proprio “Chiaro di luna”. Meravigliosamente poetico come lo ricordavo. Ve ne trascrivo qualche parte, sono poche pagine, e tralascio tutto l’antefatto, anche se è da leggere per comprendere la capacità che ha questo raffinato scrittore di portarci da una situazione popolaresca alla più elevata poesia in quattro o cinque pagine. Ma ecco le sue parole:

Miquel Barceló, Plenilunio, 2003
“In fondo, seguendo le ondulazioni del fiumicello, serpeggiava una lunga fila di pioppi. Un vapore fine e bianco, solcato, tinto d’argento e reso lucente dai raggi della luna, era sospeso intorno e sulle sponde avviluppando il corso tortuoso dell’acqua con una specie di ovatta leggera e trasparente.
Il sacerdote si fermò un’altra volta, pervaso da una commozione crescente ed irresistibile.
Lo prese un dubbio, una vaga inquietudine; sorgeva in lui una di quelle domande che talvolta si poneva.
Perché Dio aveva fatto tutto ciò? Se la notte è destinata al sonno, all’incoscienza, al riposo, all’oblio di tutto, perché farla più bella del giorno, più dolce dell’alba e della sera; e perché quell’astro lento e incantevole, più poetico del sole, che pare destinato per la sua discrezione, a illuminare cose troppo delicate e misteriose per la luce del sole, perché rendeva le tenebre così trasparenti?
[…]
Don Morignon non capiva
Ed ecco che in fondo alla prateria, sotto la volta di alberi bagnati di nebbia lucente, apparvero due esseri che camminavano stretti”.
Se poi lo leggete con il sottofondo di Beethoven non stupitevi che vi giudichino un pochino "fuori dal tempo". 

sabato 3 marzo 2012




I “Pesci d’oro” di vanni Scheiwiller
Un affresco della Sala dei Legisti
Grande Scheiwiller. I suoi “pesci d’oro” hanno brillato più che mai in occasione della presentazione del libro edito da Volumnia edizioni “Vanni Schewiller editore europeo” a cura di Carlo Pulzoni, presentato nella sala dei Legisti di palazzo Baldeschi a Perugia venerdì 2 marzo. A parlare del volume, raccolta di testimonianze saggi critici ricordi di amici, e conclusione di un percorso iniziato nel 2008 con una mostra dedicata all’editore milanese in questo stesso luogo, due conferenzieri di eccezione, soprattutto per quello che riguarda la “passione” e la competenza sull’oggetto libro: Alessandro Campi e Oliviero Diliberto coordinati da Maurizio Tarantino.

da sinistra Campo - Diliberto - Tarantino - l'editore Lupattelli
Approccio da editore, professione avviata ma poi abbandonata, quello di Campi che ha 
sottolineato l’aspetto “non ideologico” ed “eccentrico” delle raffinate scelte editoriali di Vanni Scheiwiller. Libri piccoli, curatissimi nella veste grafica e tipografica, scelta di autori al di fuori di ogni ideologia, anche in contrasto con il sentire comune del tempo, come le pubblicazioni dei testi di Julius Evola ed Ezra Paund; ma,  anche, un grande fiuto nello scoprire autori che, alcuni decenni dopo, sarebbero stati insigniti del Premio Nobel.
“Questo uomo piccolo, indifferente alle mode, lettore onnivoro che girava l’Italia sempre in treno con una borsa piena di scritti, che sceglieva gli autori in base a sentimenti di affinità e di qualità della scrittura– ha detto Campo – è l’editore per eccellenza, un tipo di editoria che va scomparendo per il prevalere di scelte solo commerciali”. Amore per la carta ma senza preclusioni nei confronti delle nuove tecnologie,  quello di Campo, che ha ricordato l’odio per gli stampatori, assimilati ai falsari, nel passaggio dal manoscritto alla stampa. Secondo Campo si può essere editori alla maniera di Scheiwiller sempre “perché- ha spiegato – il ruolo di un editore prescinde dal supporto. Il valore del suo lavoro è nel trovare idee, scoprire autori, realizzare prodotti di qualità.”


Più “fisico” da “cercatore d’oro” che tocca, annusa, fa scricchiolare la carta per assaporarne le differenze, quello di Oliviero Diliberto che ha evidenziato come i libri di Scheiwiller sappiano soddisfare i sensi oltre che la mente. Per Diliberto Scheiwiller  è “l’ultimo degli umanisti” per essere riuscito a riconquistare la tradizione in un rapporto organico con la modernità, per aver saputo esprimere il bello anche fine a sé stesso con la realizzazione di libri belli da vedere prima che da leggere come nel caso di “Milano in inchiostro di china” in cui i versi di Salvatore Quasimodo si alternano con disegni di Attilio Rossi, e per il coraggio di essere stato pioniere con il gusto della scorrettezza. Decisamente restio alle pubblicazioni su web Diliberto in cui il forte rapporto fisico con il libro arriva al piacere di ascoltare il rumore che fa la pagina quando la si tocca. “Perché – spiega – le pagine stampate con il torchio sono tutte diverse”.
Le molte voci che il libro curato da Pulzoni riporta, rendono bene quanto evidenziato dai due conferenzieri nei loro interventi, circa questa figura di editore “controcorrente” con i tanti autori che trovarono spazio, a partire dal 1936, nelle sue edizioni All’insegna del Pesce d’Oro aprendo il nostro paese a quanto stava avvenendo nel mondo culturale ed artistico in Europa e oltre.

venerdì 17 febbraio 2012

Ode al gatto


Il mio gatto che dorme tranquillo ignaro di dubbi e poeti



17 febbraio, giornata dedicata ai nostri amici gatti. Perché non dedicargli una poesia?

Gli animali furono
imperfetti, lunghi 

di coda, plumbei 

di testa. 

Piano piano si misero 

in ordine, 

divennero paesaggio, 

acquistarono nèi, grazia, volo. 

Il gatto, 

soltanto il gatto 

apparve completo 

e orgoglioso: 

nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.

L'uomo vuol essere pesce e uccello, 

il serpente vorrebbe avere le ali, 

il cane è un leone spaesato, 

l'ingegnere vuol essere poeta, 

la mosca studia per rondine, 

il poeta cerca di imitare la mosca, 

ma il gatto 

vuole essere solo gatto 

ed ogni gatto è gatto 

dai baffi alla coda, 

dal fiuto al topo vivo, 

dalla notte fino ai suoi occhi d'oro.

Non c'è unità 

come la sua, 

non hanno 

la luna o il fiore 

una tale coesione: 

è una sola cosa 

come il sole o il topazio, 

e l'elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come 

la linea della prua di una nave. 

I suoi occhi gialli 

hanno lasciato una sola 
fessura 

per gettarvi le monete della notte.

Oh piccolo 

imperatore senz'orbe, 

conquistatore senza patria, 

minima tigre da salotto, nuziale 

sultano del cielo 

delle tegole erotiche, 

il vento dell'amore 

all'aria aperta 

reclami 

quando passi 

e posi 

quattro piedi delicati 

sul suolo, 

fiutando, 

diffidando 

di ogni cosa terrestre, 

perché tutto 

è immondo 

per l'immacolato piede del gatto.

Oh fiera indipendente 

della casa, arrogante 

vestigio della notte, 

neghittoso, ginnastico 

ed estraneo, 

profondissimo gatto, 

poliziotto segreto 

delle stanze, 

insegna 

di un 

irreperibile velluto, 

probabilmente non c'è 

enigma 

nel tuo contegno, 

forse sei mistero, 

tutti sanno di te ed appartieni 

all'abitante meno misterioso, 

forse tutti si credono 

padroni, 

proprietari, parenti 

di gatti, compagni, 

colleghi, 

discepoli o amici 

del proprio gatto.

Io no. 

Io non sono d'accordo. 
I
o non conosco il gatto. 

So tutto, la vita e il suo arcipelago, 

il mare e la città incalcolabile, 

la botanica, 

il gineceo coi suoi peccati, 

il per e il meno della matematica, 

gl'imbuti vulcanici del mondo, 

il guscio irreale del coccodrillo, 

la bontà ignorata del pompiere, 

l'atavismo azzurro del sacerdote, 

ma non riesco a decifrare il gatto. 

Sul suo distacco la ragione slitta, 

numeri d'oro stanno nei suoi occhi.
Pablo Neruda

venerdì 10 febbraio 2012

Un’offerta di salvezza



Questa volta il mio acquisto casuale mi ha permesso di scoprire un piccolo capolavoro. La prima cosa che mi ha spinto a comprarlo è stato il titolo “Una scrittura femminile azzurro pallido”. Sufficiente per me che amo le lettere, la carta, e tutto quello che di terribilmente melenso queste cose portano con sé. Poi, la copertina, con tanti piccoli fiori. E, infine, la dicitura “grandi romanzi d’amore”. Confesso che l’autore, Franz Werfel, non mi diceva assolutamente niente.

A parte il titolo, il resto rientra sicuramente nel marketing, tutto a discapito di un libro stupendo, una scrittura che ti tiene con il fiato sospeso pagina per pagina tanto che non riesci a smettere di leggere. Io, infatti, l’ho letto tutto d’un fiato.
Perché? Perché nella vita di ognuno di noi che sembra procedere tranquilla, senza scossoni, arriva una lettera, magari non azzurra, che, improvvisamente, cambia il senso di tutto quello che stiamo facendo. Rimette in discussione scelte, ci fa confrontare con il nostro passato, ci fa vedere le persone intorno con un occhio diverso e, per un breve istante, ci fa desiderare di essere qualcun altro. Per Leonida, il protagonista del romanzo, alto funzionario della pubblica amministrazione, marito di una ricchissima ereditiera, integrato nella ricca società viennese dei primi anni trenta del Novecento, a cambiare il corso della sua vita è una lettera con “Una scrittura femminile azzurro pallido” .
Come rendono poco merito ai libri le trame. In fondo, cosa potremmo dire delle vicende di Leonida, tutte racchiuse nell’arco di una giornata? Che si può pensare di essere padri di un figlio che non sapevamo di avere, un figlio con una parte di sangue ebreo, per giunta, in un momento in cui essere ebrei non è per niente conveniente. Che, per quel figlio, da bravo padre, si sarebbe disposti a mettere in discussione tutto: la carriera e il matrimonio, confessando l’infedeltà alla ricca e innamorata moglie; una vita agiata conquistata dopo anni di assoluta povertà e le proprie idee antisemite. Insomma, ricominciare tutto daccapo.
Si può tirare un sospiro di sollievo alla scoperta che si è trattato di un semplice equivoco, tornare nei ranghi  ma “Leonida sa con chiarezza indicibile che oggi gli è stata inviata un’offerta di salvezza, oscura, sommersa, irresoluta, come tutte le offerte di questo genere. Sa di non essere stato capace di raccoglierla. Sa che a questa non faranno seguito altre offerte




giovedì 9 febbraio 2012

Un'ottima annata



A chi di voi ha visto il film Un’ottima annata si sconsiglia la lettura dell’omonimo romanzo scritto da Peter Mayle.
Avete presente Russell Crowe che entra dentro il locale più trendy di Londra, con il dito medio rivolto verso l’alto e il sorriso da canaglia, che fa scivolare una mano sulle ginocchia di una che lo guarda mangiandoselo con gli occhi dopo aver guadagnato non so quanti soldi con una speculazione in borsa?
Scordatevi tutto questo. Di quel broker di successo, senza scrupoli ma affascinante non c’è neanche il ricordo. Max Skinner è, in realtà, uno sfigato, per quello che riguarda la finanza ovviamente, perché la bella villa in Provenza del vecchio zio Henry la eredita davvero. Ma la storia si incarta in una specie di giallo. Speculatori senza scrupoli truffano sul prezioso vino prodotto nella vigna di proprietà della villa dal fidato contadino mentre il nostro Max intreccia una storia con la proprietaria della trattoria in piazza. Tramina sciapita, intreccio debole. Non ci siamo proprio. Ma volete mettere il solito Russell sulla piccola Smart gialla, che si mette (o si toglie questo non lo ricordo) gli occhiali, gli cade il cellulare, si distrae mandando per aria, senza neppure rendersene conto, la bicicletta con la francesissima Marion Cotillard (semplicemente charmant)
Grande Ridley Scott, un amore di film, capace di far desiderare una casa in Provenza  naturalmente con vigna. Magari gli sconosciuti produttori del pregiatissimo Le Coin Perdu.

Un'ottima annata
http://youtu.be/FZ7_aNeGTb4