venerdì 17 febbraio 2012

Ode al gatto


Il mio gatto che dorme tranquillo ignaro di dubbi e poeti



17 febbraio, giornata dedicata ai nostri amici gatti. Perché non dedicargli una poesia?

Gli animali furono
imperfetti, lunghi 

di coda, plumbei 

di testa. 

Piano piano si misero 

in ordine, 

divennero paesaggio, 

acquistarono nèi, grazia, volo. 

Il gatto, 

soltanto il gatto 

apparve completo 

e orgoglioso: 

nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.

L'uomo vuol essere pesce e uccello, 

il serpente vorrebbe avere le ali, 

il cane è un leone spaesato, 

l'ingegnere vuol essere poeta, 

la mosca studia per rondine, 

il poeta cerca di imitare la mosca, 

ma il gatto 

vuole essere solo gatto 

ed ogni gatto è gatto 

dai baffi alla coda, 

dal fiuto al topo vivo, 

dalla notte fino ai suoi occhi d'oro.

Non c'è unità 

come la sua, 

non hanno 

la luna o il fiore 

una tale coesione: 

è una sola cosa 

come il sole o il topazio, 

e l'elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come 

la linea della prua di una nave. 

I suoi occhi gialli 

hanno lasciato una sola 
fessura 

per gettarvi le monete della notte.

Oh piccolo 

imperatore senz'orbe, 

conquistatore senza patria, 

minima tigre da salotto, nuziale 

sultano del cielo 

delle tegole erotiche, 

il vento dell'amore 

all'aria aperta 

reclami 

quando passi 

e posi 

quattro piedi delicati 

sul suolo, 

fiutando, 

diffidando 

di ogni cosa terrestre, 

perché tutto 

è immondo 

per l'immacolato piede del gatto.

Oh fiera indipendente 

della casa, arrogante 

vestigio della notte, 

neghittoso, ginnastico 

ed estraneo, 

profondissimo gatto, 

poliziotto segreto 

delle stanze, 

insegna 

di un 

irreperibile velluto, 

probabilmente non c'è 

enigma 

nel tuo contegno, 

forse sei mistero, 

tutti sanno di te ed appartieni 

all'abitante meno misterioso, 

forse tutti si credono 

padroni, 

proprietari, parenti 

di gatti, compagni, 

colleghi, 

discepoli o amici 

del proprio gatto.

Io no. 

Io non sono d'accordo. 
I
o non conosco il gatto. 

So tutto, la vita e il suo arcipelago, 

il mare e la città incalcolabile, 

la botanica, 

il gineceo coi suoi peccati, 

il per e il meno della matematica, 

gl'imbuti vulcanici del mondo, 

il guscio irreale del coccodrillo, 

la bontà ignorata del pompiere, 

l'atavismo azzurro del sacerdote, 

ma non riesco a decifrare il gatto. 

Sul suo distacco la ragione slitta, 

numeri d'oro stanno nei suoi occhi.
Pablo Neruda

venerdì 10 febbraio 2012

Un’offerta di salvezza



Questa volta il mio acquisto casuale mi ha permesso di scoprire un piccolo capolavoro. La prima cosa che mi ha spinto a comprarlo è stato il titolo “Una scrittura femminile azzurro pallido”. Sufficiente per me che amo le lettere, la carta, e tutto quello che di terribilmente melenso queste cose portano con sé. Poi, la copertina, con tanti piccoli fiori. E, infine, la dicitura “grandi romanzi d’amore”. Confesso che l’autore, Franz Werfel, non mi diceva assolutamente niente.

A parte il titolo, il resto rientra sicuramente nel marketing, tutto a discapito di un libro stupendo, una scrittura che ti tiene con il fiato sospeso pagina per pagina tanto che non riesci a smettere di leggere. Io, infatti, l’ho letto tutto d’un fiato.
Perché? Perché nella vita di ognuno di noi che sembra procedere tranquilla, senza scossoni, arriva una lettera, magari non azzurra, che, improvvisamente, cambia il senso di tutto quello che stiamo facendo. Rimette in discussione scelte, ci fa confrontare con il nostro passato, ci fa vedere le persone intorno con un occhio diverso e, per un breve istante, ci fa desiderare di essere qualcun altro. Per Leonida, il protagonista del romanzo, alto funzionario della pubblica amministrazione, marito di una ricchissima ereditiera, integrato nella ricca società viennese dei primi anni trenta del Novecento, a cambiare il corso della sua vita è una lettera con “Una scrittura femminile azzurro pallido” .
Come rendono poco merito ai libri le trame. In fondo, cosa potremmo dire delle vicende di Leonida, tutte racchiuse nell’arco di una giornata? Che si può pensare di essere padri di un figlio che non sapevamo di avere, un figlio con una parte di sangue ebreo, per giunta, in un momento in cui essere ebrei non è per niente conveniente. Che, per quel figlio, da bravo padre, si sarebbe disposti a mettere in discussione tutto: la carriera e il matrimonio, confessando l’infedeltà alla ricca e innamorata moglie; una vita agiata conquistata dopo anni di assoluta povertà e le proprie idee antisemite. Insomma, ricominciare tutto daccapo.
Si può tirare un sospiro di sollievo alla scoperta che si è trattato di un semplice equivoco, tornare nei ranghi  ma “Leonida sa con chiarezza indicibile che oggi gli è stata inviata un’offerta di salvezza, oscura, sommersa, irresoluta, come tutte le offerte di questo genere. Sa di non essere stato capace di raccoglierla. Sa che a questa non faranno seguito altre offerte




giovedì 9 febbraio 2012

Un'ottima annata



A chi di voi ha visto il film Un’ottima annata si sconsiglia la lettura dell’omonimo romanzo scritto da Peter Mayle.
Avete presente Russell Crowe che entra dentro il locale più trendy di Londra, con il dito medio rivolto verso l’alto e il sorriso da canaglia, che fa scivolare una mano sulle ginocchia di una che lo guarda mangiandoselo con gli occhi dopo aver guadagnato non so quanti soldi con una speculazione in borsa?
Scordatevi tutto questo. Di quel broker di successo, senza scrupoli ma affascinante non c’è neanche il ricordo. Max Skinner è, in realtà, uno sfigato, per quello che riguarda la finanza ovviamente, perché la bella villa in Provenza del vecchio zio Henry la eredita davvero. Ma la storia si incarta in una specie di giallo. Speculatori senza scrupoli truffano sul prezioso vino prodotto nella vigna di proprietà della villa dal fidato contadino mentre il nostro Max intreccia una storia con la proprietaria della trattoria in piazza. Tramina sciapita, intreccio debole. Non ci siamo proprio. Ma volete mettere il solito Russell sulla piccola Smart gialla, che si mette (o si toglie questo non lo ricordo) gli occhiali, gli cade il cellulare, si distrae mandando per aria, senza neppure rendersene conto, la bicicletta con la francesissima Marion Cotillard (semplicemente charmant)
Grande Ridley Scott, un amore di film, capace di far desiderare una casa in Provenza  naturalmente con vigna. Magari gli sconosciuti produttori del pregiatissimo Le Coin Perdu.

Un'ottima annata
http://youtu.be/FZ7_aNeGTb4

mercoledì 8 febbraio 2012

La Sirenetta

Sì proprio quella della favola ma niente Walt Disney. Non critico la scelta di rendere sdolcinate tutte le fiabe, che sdolcinate non lo sono per niente, questa vita è a volte così difficile che posso anche condividere l’idea di una fiaba rassicurante però, è come un giallo in cui non c’è l’assassino. Diciamo che, per quanto macabro, ti perdi il meglio.
Penso che per nessuna trasposizione cinematografica questo concetto valga tanto come per la Sirenetta almeno per la versione che conosco io e cioè quella pubblicata nel volume Miti leggende e fiabe dell’enciclopedia Garzanti  Il mio amico edizione 1966. Lo so, qualcuno storcerà il naso. In quest’epoca di internet e dvd che senso ha andare a rileggere una fiaba pubblicata ben 44 anni fa (oddio, me la regalarono i miei genitori alle elementari!) però vi assicuro che ne vale la pena.
La Sirenetta che tutti conosciamo, la mia è avvenuta attraverso la visione nella versione del famigerato Walt vista da mia figlia, scambia la sua splendida voce per un paio di gambe, dopo qualche traversia riesce finalmente a farsi capire e, come in ogni favola che si rispetti “Vissero tutti felici e contenti” naturalmente tutti meno i malvagi che, almeno nelle favole, si identificano bene.
Non è così la Sirenetta di Andersen, e credo che sia proprio la versione originale, che si trova a competere l’amore per il principe con una splendida bruna, che non solo ha perso la voce ma quelle gambe che ha così duramente conquistato le fanno un male tremendo quando cammina. Ma, la cosa più bella è che il desiderio della “piccola sirena” è quello di avere un’anima cosa che è sconosciuta al mondo degli abissi e che, invece, è patrimonio degli uomini.
Leggiamo dal libro:

“E perché non hanno dato anche a noi un’anima? – domandò la piccola sirena “Io sacrificherei tutta  la mia lunga vita per poter vivere anche un poco sulla terra e avere un’anima capace di salire al cielo”
Essendo Andersen un grande scrittore, e conoscitore degli uomini, come poteva consentire che una sirena, proveniente da mondi sconosciuti, ignoti, che pagano con il mutismo il loro ardire di essere tra gli uomini, acquistare un’anima se non a prezzo di un omicidio? L’uccisione dello stesso principe. L’uccisione dell’amore.
Ma la sirenetta viene da un altro mondo, l’amore è sopra tutto: il pugnale cade a terra e le sue membra iniziano a dissolversi.
Ma siamo pur sempre in una fiaba, i desideri si esaudiscono sempre:
“ma ella ignorava che anche per gli abitanti del mare vi è una vita dopo la morte: si tramutano in spuma, ma poi la spuma si dissolve in aria e dà respiro e vita agli esseri umani.
“Dove sono?” chiese la sirenetta sentendosi trasportare in alto e in alto
“Nel regno dell’aria” mormorò il vento. “Adesso sei divenuta una sua creatura”
“E gli spiriti dell’aria hanno un’anima”
“No, ma possono conquistarsela”
“E come?”
“Con le buone azioni. Possono compierne ogni giorno: rinfrescando le fronti ardenti dei malati, portando nelle case il profumo dei giardini e in tanti altri modi. Allora Dio concede loro una vita eterna e quell’anima per la quale hai sofferto tanto sulla terra”.
Alle parole del vento la piccola sirena avvertì dentro di sé una strana cosa: ella, che non aveva mai potuto piangere, si trovò ad un tratto le ciglia piene di lacrime che le scesero lungo le gote e caddero giù nella profondità dell’aria.

Volete qualcosa di più edificante di questo? Da bambina le mie piccole guance si coprivano di lacrime e desideravo ardentemente di avere un’anima.





Cosa è successo tra le due foto? La discesa sulla terra

lunedì 6 febbraio 2012

Un ricordo con tre euro



Amo girare per negozietti di libri usati. A volte confesso che mi perdo un po’ in quell’accatastamento di volumi e, quindi, li sfioro con lo sguardo, lasciandomi attrarre da una forma, un disegno, un colore. Ed è stato proprio il colore ad attrarmi oggi pomeriggio verso un corposo tomo nel ripiano più basso, quello che eviti sempre soprattutto se hai qualche problema alla schiena. Un bel libro di quasi mille pagine. “Nato a Milano il 7 marzo 1783, dal conte Pietro e da Giulia Beccaria, figlia di Cesare, esponente dell’Illuminismo milanese e autore del libro Dei delitti e delle pene.
Ebbene sì è lui, “I promessi sposi” del nostro bene amato Alessandro Manzoni, quello, però, a cura di Michele Messina edizione 1970 quella su cui ho trascorso alcune ore di italiano seguendone la lettura fatta dalla mia insegnante. Non ricordo se questa fosse una prassi scolastica ma ricordo bene la voce della mia elegante professoressa d’italiano, capelli rigorosamente biondi e cotonati, che cercava di appassionarci a quello che lei reputavo “il più bel romanzo”. “Almeno l’amore!”  ci diceva. Ma noi, classe di tutte donne che andavamo ancora a scuola con il grembiule nero e colletto bianco, ascoltavamo per poi dimenticare.
Non so rispondere a quanto Manzoni scrive nell’introduzione al suo romanzo:  - Ma, quando io avrò durata l’eroica fatica di trascriver questa storia da questo dilavato e graffiato autografo e l’avrò data, come si suol dire, alla luce, si troverà poi chi duri la fatica di leggerla?
Perché non so se nelle scuole superiori ancora ci siano delle ore dedicate ai Promessi sposi. Da parte mia mi riprometto di rileggerlo con un po’ di nostalgia.
Per soli tre euro, mi sono riportata a casa un pezzettino della mia gioventù.





Il libro e un'immagine raffigurante Lucia


domenica 5 febbraio 2012

Artemisia Gentileschi

5 febbraio ore 23.59




La vita di Artemisia Gentileschi accompagna il mio abbandonarmi nelle braccia di Morfeo. Il libro l'ho acquistato a Milano in occasione della bella mostra allestita in questa città. Avrei voluto poter fissare l'incanto provato davanti a quelle tele ma, soprattutto, potervi trascrivere due lettere, esposte per la prima volta, in cui lei scrive al suo amante e viceversa. 
Comunque, in ricordo di questa bella esperienza visiva mi sono portata a casa la sua biografia scritta da Alexandra Lapierre e pubblicata da Mondadori.
Sono alle prime pagine per cui non posso dire molto sul libro ma queste prime pagine rendono un’immagine totalmente diversa di quel triangolo stupendo di Roma che va da piazza del Popolo a piazza di Spagna passando per via del Babuino che stento a crederci. Niente lusso e attici che ti fanno sognare con la testa all’insù ma studi di pittori, botteghe artigiane e, in via Margutta, la casa dei Gentileschi dove la giovane Artemisia, sotto la guida dell’esigente padre, muove i primi passi tra i colori.


“In che ordine vanno disposti sulla tavolozza i pigmenti mischiati con l’olio?” le chiedeva al risveglio.
“I colori chiari vicino al pollice, quelli più scuri in basso.”
“Quanti sono i colori puri?”
“Al massimo nove… il bianco di piombo” farfugliava la bambina davanti al piatto di zuppa, “l’ocra giallo, il vermiglione, l’ocra rosso…”
“Quando si è finito di dipingere, come si conserva il colore a olio rimasto sulla tavolozza?”
“Nell’acqua.”
“E il bianco di piombo?”
La piccola metteva giù il cucchiaio, esitava… Quando Orazio s’impazientiva, la guardava in tralice, gli occhi grigi fissi su di lei, in attesa che parlasse. Questo sguardo la impressionava talmente che si affrettava a rispondere senza riflettere.
“Nell’olio.”
“Nell’olio!” tuonava Orazio.
Errori del genere potevano costare cari ad Artemisia.
“Nell’acqua” correggeva a precipizio.


Non so per voi, ma per me questo dialogo è una lezione di sintesi, di storia del costume e dell’arte stupendo.






Il quadro di Artemisia che preferisco