Amo
girare per negozietti di libri usati. A volte confesso che mi perdo un po’ in
quell’accatastamento di volumi e, quindi, li sfioro con lo sguardo, lasciandomi
attrarre da una forma, un disegno, un colore. Ed è stato proprio il colore ad
attrarmi oggi pomeriggio verso un corposo tomo nel ripiano più basso, quello
che eviti sempre soprattutto se hai qualche problema alla schiena. Un bel libro
di quasi mille pagine. “Nato a Milano il 7 marzo 1783, dal conte Pietro e da
Giulia Beccaria, figlia di Cesare, esponente dell’Illuminismo milanese e autore
del libro Dei delitti e delle pene.
Ebbene sì
è lui, “I promessi sposi” del nostro
bene amato Alessandro Manzoni, quello, però, a cura di Michele Messina edizione
1970 quella su cui ho trascorso alcune ore di italiano seguendone la lettura
fatta dalla mia insegnante. Non ricordo se questa fosse una prassi scolastica
ma ricordo bene la voce della mia elegante professoressa d’italiano, capelli
rigorosamente biondi e cotonati, che cercava di appassionarci a quello che lei
reputavo “il più bel romanzo”. “Almeno
l’amore!” ci diceva. Ma noi, classe
di tutte donne che andavamo ancora a scuola con il grembiule nero e colletto
bianco, ascoltavamo per poi dimenticare.
Non so
rispondere a quanto Manzoni scrive nell’introduzione al suo romanzo: - Ma,
quando io avrò durata l’eroica fatica di trascriver questa storia da questo
dilavato e graffiato autografo e l’avrò data, come si suol dire, alla luce, si
troverà poi chi duri la fatica di leggerla? –
Perché non
so se nelle scuole superiori ancora ci siano delle ore dedicate ai Promessi sposi. Da parte mia mi
riprometto di rileggerlo con un po’ di nostalgia.
Per soli tre euro, mi sono riportata a casa un pezzettino della mia gioventù.
Il libro e un'immagine raffigurante Lucia
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